“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’Universo), ma non si può intendere se prima non si impara a intendere la lingua e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri son triangoli, cerchi e altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola”.

Galileo Galilei.

Ad un’analisi superficiale, il senso delle precedenti pagine potrebbe sembrare quello di sostenere che, se ci fossero più onestà, cultura ed amore si otterrebbero migliori risultati nella ricerca scientifica. In realtà questo è un aspetto incidentale dell’analisi svolta, certamente vero, ma incidentale.

Il senso profondo è invece il tentativo di rispondere ad una domanda centrale, più volte ricorsa in questo studio: è possibile espandere le capacità cognitive della mente umana? La mia risposta è sì. Ma a condizione di superare una grande dualità nella filosofia dell’approccio alla conoscenza: quella fra matematica e scienze naturali, ma anche, se vogliamo, fra Aristotele e Platone o, per spingerci ancora più in là, fra pensiero razionale e pensiero religioso, di cui la scienza antica era impregnata.

Se analizziamo l’opera dell’Alchimia da un punto di vista strettamente filosofico, notiamo che essa è caratterizzata da un aspetto davvero peculiare: è forse l’unico tentativo di conciliare l’aristotelismo con il platonismo o, in altri termini, i fondamenti del pensiero scientifico con quelli del pensiero mistico. Ciò accade perché gli alchimisti, con un’operazione intellettuale del tutto inedita, applicano alla loro attività di ricerca sui fenomeni naturali alcuni principi considerati tipici del pensiero non scientifico, quello che, in parte convenzionalmente, definiremo pensiero “mistico”. Il pensiero mistico di tutti i tempi ricerca la Verità fondandosi sull’illuminazione anziché sull’uso dei propri sensi, su un percorso compiuto all’interno del proprio Io, anziché sull’osservazione dei fenomeni, su un rapporto di amore e di intimo legame con un Dio rivelatore, anziché sull’uso della razionalità. Del pari l’alchimia si avvicina al mondo dei fenomeni utilizzando il pensiero astratto, rifiutando la logica tradizionale, sostituendo l’approccio razionale con un approccio sinestesico all’oggetto della propria ricerca.

Si è trattato di un tentativo di mediazione impossibile? O è stata la testimonianza che la contrapposizione di queste due culture potrebbe essere solo apparente? Come ho detto precedentemente, la ricerca operata da Platone, il filosofo- simbolo del pensiero antiscientifico, è fondata su di una profonda insoddisfazione nei confronti delle possibilità della conoscenza sensibile e del ragionamento logico tradizionale, ed è un tentativo di indagine in profondità su tutto ciò che è celato dall’apparenza, percorrendo una strada alternativa, quelle del pensiero astratto. Shurè ne “I grandi iniziati”, ricorda che “Mentre la scienza moderna non considera che il di fuori, la corteccia dell’universo, la scienza dei tempi antichi aveva per scopo di rivelarne il di dentro, di scoprirne le ruote nascoste. Essa non traeva l’intelligenza dalla materia, ma la materia dall’intelligenza”.

Del resto, non è in fondo lo stesso pensiero matematico fondato su principi che ricordano il pensiero mistico? Anche la matematica non deve raffrontarsi alla realtà per trovare la sua dimostrazione, ma risponde ad una logica interna autonoma, fatta di passaggi progressivi e che trova solo in sé stessa la sua dimostrazione, proprio come fa l’uomo che, nella sua anima, ricerca la Verità. E, come ho ricordato ad inizio di paragrafo, non a caso Galileo definiva la matematica “il linguaggio di Dio”.

Se, per un momento, ipotizziamo di voler abbandonare la contrapposizione tra queste due culture, possiamo considerare, entro certi limiti e secondo certe regole, il pensiero mistico come un’espansione del pensiero razionale: quest’ultimo classifica, ordina, verifica, mentre il primo intuisce, affina la sensibilità, cerca nessi e linguaggi diversi da quelli razionali. Sono convinto che alcuni elementi propri del pensiero mistico si possano collocare a pieno titolo nel momento induttivo-intuitivo della ricerca e costituirne il motore, poiché sono capaci di utilizzare l’approccio razionale-emotivo al fenomeno.

In questa maniera si arricchisce il linguaggio aristotelico, affiancando ad esso una sorta di “linguaggio universale” (proprio per rimanere nel glossario alchemico), cioè un linguaggio naturale, e, dunque, non viziato dalle tare culturali che abbiamo esaminato in precedenza. Usando questo metodo l’Alchimia è riuscita a ritrovare dentro di sé una straordinaria sensibilità, che i suoi seguaci utilizzarono nello studio dei fenomeni naturali così ponendo le fondamenta, con pochi rudimentali mezzi, della scienza moderna.

Oggi noi siamo chiamati a ritrovare questa chiave perduta, quest’antico intreccio dimenticato fra due modalità di pensiero capaci di potenziarsi l’un l’altro e di dare origine ad una terza e nuova forza dell’intelletto umano.

“Rumpite libros ne corda vostra rumpantur” (Rompete i libri, affinché non si rompano i vostri cuori. (Antico detto alchemico).

3 Risposte to “L'”impossibile” fusione alchemica”

  1. Sergio Says:

    <>

    (Jorge Luis Borges, “La Rosa di Paracelso”)

  2. Sergio Says:

    Pardon, avevo messo tra virgolette un estratto dal racconto che ho nominato, ma il blog lo ha espunto…lo riscrivo qui sotto.

    – “Mi credi capace di produrre la Pietra che muta in oro tutti gli elementi, e mi offri oro. Ma l’oro non mi interessa, e se è quello che cerchi, non sarai mai mio discepolo.”
    – “L’oro non mi interessa. Queste monete sono un piccolo segno del mio desiderio di lavorare. Voglio percorrere con te il cammino che porta alla Pietra.”
    – “Il cammino è la Pietra. Il punto di partenza è la Pietra. Se non capisci queste parole, non hai ancora iniziato a capire. Ogni passo che farai è la meta.”
    – “Ma c’è una meta?”
    Paracelso rise.
    – “I miei detrattori, che sono tanto numerosi quanto stupidi, dicono di no e mi chiamano impostore. Non credo che abbiano ragione, ma non è impossibile che io sia un illuso. Tuttavia, so che c’è un Cammino”.

    • paolomaggi Says:

      Ho riflettuto mille volte sul significato simbolico della pietra filosofale. E ho trovato mille risposte diverse alle mie domande. Non può essere diversamente perchè il simbolo utilizza un linguaggio analogico, linguaggio a cui noi oggi siamo totalmente disabituati. L’analogia è la logica dei mille rinvii e serve ad esplorare, più che i concetti, la nostra psiche. Oggi penso al percorso verso l ‘Oro Alchemico come al percorso verso quello che non siamo ancora, verso un nostro io migliore, più virtuoso, più desiderabile, meno aggrappato alle logiche della bruta materia e della parte più bestiale di noi. Un percorso che dovrebbe essere doveroso per ogni medico ma che, dopo Paracelso, nessuno ha più teorizzato e pochissimi hanno compiuto. Grazie per la bella citazione.


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