antifragile

La Manomissione delle parole, di Gianrico Carofiglio ci aiuta in diverse occasioni a riflettere sull’importanza della parola in medicina. Nel 6° capitolo del libro per esempio ci ricorda che i contrari, a volte, non sono così ovvi come può sembrare. Alcune parole non hanno un loro contrario. Altre lo hanno, ma questo non soddisfa a pieno le nostre esigenze di comunicazione. Per esempio, la parola fragile non ha un suo esatto contrario. Potremmo dire che una cosa non fragile è resistente, perché è capace di sopportare gli urti senza subire modifiche. Meglio ancora se è resiliente, perché vuol dire che, oltre ad opporsi alle forze avverse, sarà capace di tornare alla sua condizione di partenza dopo aver subito un’alterazione. Ma se applichiamo queste definizioni alla salute, nessuna ci soddisfa davvero e, soprattutto, nessuna definisce esattamente il contrario di ciò che è fragile.

La malattia ci rende fragili nel corpo e nella mente. Se siamo resistenti riusciremo ad opporci meglio alle aggressioni, mantenendo la nostra struttura, almeno finché non arriverà un urto talmente forte da danneggiarci. Se siamo anche resilienti, riusciremo a ripristinare lo stato di equilibrio originario, anche se questo è stato alterato, almeno entro certi ragionevoli limiti. Ma queste non sono condizioni opposte alla fragilità.

L’antifragilità invece, va oltre la resistenza e la resilienza. Il neologismo è stato coniato da Nassim Nicholas Taleb che, all’antifragilità, ha dedicato un libro dall’omonimo titolo.

Un sistema antifragile non è solo capace di opporre una resistenza passiva agli urti, non è solo capace di tornare alle condizioni di partenza dopo aver subito un colpo. E’un sistema che ha la singolare capacità di rafforzarsi proprio grazie alle aggressioni che subisce. E’capace cioè di trarre beneficio da eventi imprevisti e avversi. Come la malattia. Il corpo umano è certamente resistente, perché ha l’indubbia capacità di reggere a colpi non eccessivamente violenti. Ed è anche resiliente, perché assai spesso, dopo essere stato danneggiato, è in grado di rigenerare le sue strutture tornando, tutte le volte che può, al suo stato di equilibrio originario. A volte il nostro corpo riesce anche ad assumere comportamenti antifragili.

Pensando alle nostre ossa, ci verrà indubbiamente in mente il più evidente esempio di comportamento resistente: se una caduta non è troppo forte, l’osso reggerà il trauma, e non si fratturerà. E probabilmente l’osso è anche un ottimo esempio di comportamento resiliente, perché, anche se fratturato, metterà in atto meccanismi di riparazione che lo faranno tornare sano nel giro di un mesetto, soprattutto se abbiamo avuto la cura di non ridurlo in mille pezzi. Altrettanto resiliente è la nostra pelle, il nostro fegato, come sperimentò anche Prometeo a sue spese, e molti altri tessuti. Ma, continuando a riflettere sulle nostre ossa, troveremo un primo esempio di antifragilità: sappiamo bene che l’osso più debole è quello che non subisce carichi, e quello che si rafforza è certamente quello sottoposto a grandi carichi. Più l’osso viene caricato, più si irrobustisce. Sub pondere crescit palma. Un altro classico esempio di comportamento antifragile è quello del sistema immunitario, che si rafforza proprio

grazie alle aggressioni che riceve.

Un’ulteriore esempio di antifragilità nel nostro corpo è rappresentato dalla cosiddetta ormesi , cioè l’effetto dose-risposta: una serie di sostanze potenzialmente tossiche, se assunte in dosi basse, hanno effetti positivi. Via via che la dose cresce, la loro tossicità aumenta. Ormai tutti noi sappiamo che vino rosso, caffè, the, cioccolato fondente, e molto altro ancora, se assunti con saggezza, hanno un effetto benefico sul nostro organismo. Se eccediamo, l’effetto è molto diverso.

Insomma, sono frequenti i casi in cui il nostro corpo si dimostra antifragile, cioè diventa più forte in risposta a stimoli potenzialmente dannosi. Anche la nostra mente, sebbene più raramente, adotta strategie di antifragilità. Un esempio è costituito da quegli eventi stressanti che non sono né particolarmente gravi, né prolungati. La nostra psiche non ne riceve un danno, anzi. L’effetto di un modico stress sulla nostra mente somiglia molto al meccanismo dell’ormesi: in piccole dosi ci porta un vantaggio in termini di conoscenza che, senza danneggiarci, ci renderà più forti e sicuri in occasione di esperienze simili in futuro.

Nel capitolo dedicato alla gamba di Giacobbe abbiamo discusso della teoria della claudicanza di Baharier. Si tratta evidentemente di un comportamento antifragile applicato alla mente dell’uomo che deve convivere con la sua malattia. Ed è una risorsa preziosa, più di quanto non lo sia la capacità del nostro corpo di rafforzarci grazie ai carichi fisici, all’esposizione agli agenti infettivi o alle sostanze tossiche, perche le risposte antifragili alle malattie sono rare e non si innescano spontaneamente. Ed è compito del medico suggerire il percorso mentale verso questo obiettivo quando, come spesso capita, il paziente non riesce ad orientarsi da solo. Il percorso che propongo è quello della narrazione della malattia. Conviene dare un’occhiata a quel capitolo.

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